Il tanto auspicato intervento del Governo a favore del comparto balneare c’è stato.
Trentamila operatori tirano un sospiro di sollievo. Ottengono un tempo più breve rispetto alle richieste portate avanti dai diversi sindacati, ma considerato, almeno dalle prime reazioni registrate, utile a dare respiro ad un comparto importante per l’economia italiana, angosciato dalla direttiva Bolkestein e dalla prospettiva della messa a gara delle concessioni.
Che il suddetto provvedimento rappresenti un guanto di sfida lanciato all’Europa e alle sue politiche in materia di concorrenza, è dimostrato dalle censure che la Corte di Giustizia Europea aveva già fatto verso la proroga delle concessioni disposta dal Governo Monti nel 2012 dichiarandone, con sentenza C-458/14 e C-67/15 del 14/07/2016, l’inapplicabilità per contrasto con gli artt. 12 e seguenti della Direttiva CE 123/06 e con l’art. 49 del Trattato FUE. Censure che, come si ricorderà, sono state fatte proprie anche dalle magistrature superiori italiane e da alcune Autorità concedenti, come verificatosi nei casi Melis e Promoimpresa.
Ebbene, l’emendamento in commento, voluto fortemente dal Ministro alle politiche agricole, alimentari e forestali Gianmarco Centinaio, e fatto proprio dal Governo nella Legge di bilancio, prevede all’art. 1, comma 682 che le concessioni disciplinate dal comma 1 dell’art. 01 del DL 400/94, vigenti alla data di entrata in vigore della legge di stabilità (01/01/2019), abbiano una durata di 15 anni a partire da tale data.
Una norma che, con tutti i limiti che si vedranno in seguito, ha comunque il pregio della chiarezza.
Più problematica appare, invece, la formulazione del successivo comma 683, che prevede che siano soggette alla stessa durata le concessioni di cui al comma 682, purchè rispondenti ad almeno uno dei seguenti requisiti:
1) essere vigenti alla data del 31/12/2009, ossia all’entrata in vigore del DL 194/09;
2) essere state rilasciate successivamente a tale data, ma con procedura amministrativa attivata prima e per le quali sia stata effettuata una pubblicazione ex art. 18 reg. esec. cod. nav.;
3) essere state rilasciate successivamente a tale data, ma con procedura amministrativa attivata prima e per le quali sia stato formalizzato un rinnovo nel rispetto dell’art. 02 della legge 494/93.
Infine, il comma 684, dispone che le concessioni residenziali o abitative, già oggetto di proroga ex DL n. 78/2015, abbiano durata 15 anni a partire dal 01/01/2019.
Preliminarmente vale la pena evidenziare come il combinato normativo in oggetto non si discosti da quello che ha dato origine alle censure già espresse nei confronti delle precedenti proroghe (al 2015 e al 2020), riproponendo un meccanismo concettualmente identico a quello introdotto con il DL 194/09 e succ. mod.
Il presupposto è infatti il medesimo, ossia la necessità di provvedere al riordino della materia.
Un lavoro enorme che, a ben vedere, lo Stato non è stato in grado di esaurire (rectius avviare) nel periodo compreso nella precedente proroga, e che viene riproposto oggi in tutta la sua disarmante complessità.
Una differenza sostanziale tra questa e la precedente proroga però esiste, ai 5 anni di riordino già concessi con la precedente proroga, i commi 675 e segg. aggiungono questa volta ulteriori 15 anni, di cui tre necessari (termine perentorio) per l’esaurimento dell’attività ricognitiva e consultiva (120 giorni per l’entrata in vigore del decreto, 2 anni per la mappatura delle concessioni e 180 giorni per lo svolgimento di una consultazione pubblica), ed i restanti 12 anni sprovvisti di qualunque appiglio o giustificazione tecnica, se non quella di venire incontro alle richieste di certezza del comparto per gli anni a venire.
Non servono particolari previsioni per immaginare che l’odierna proroga seguirà la stessa sorte della pregressa, ivi compresa l’apertura di una nuova procedura di infrazione UE.
Una soluzione che, ad avviso di chi scrive, darà avvio ad una intensa stagione di ricorsi da parte di quei soggetti che, intenzionati ad entrare nel settore, sono rimasti in attesa di una riforma di settore che desse definitivamente avvio alle previste procedure di evidenza pubblica. Ricorsi che, come dimostra la più recente giurisprudenza, appaiono tutt’altro che peregrini, e che mireranno ad ottenere la disapplicazione della proroga con conseguente intimazione agli enti competenti a dare avvio alle evidenze pubbliche.
Apprezzabile ci pare, invece, che il Legislatore abbia (finalmente) abbandonato il termine “turistico ricreativo” per riferirsi in maniera più organica a tutte le concessioni disciplinate dall’art. 01 comma 1 legge 494/93.
Una scelta che pone al centro dell’intervento normativo, per la prima volta, l’annoso problema delle concessioni abitative, da decenni tenute ingiustamente fuori da ogni intervento regolativo e soggette alle dinamiche, spesso contraddittorie, degli uffici regionali/comunali.
A fronte di qualche timido passo in avanti, non poche sono però le carenze su piano sistematico.
Il Maxiemendamento rinuncia, infatti, ad affrontare la questione dei pertinenziali e dei loro canoni abnormi.
Nessun riferimento viene fatto altresì alle dinamiche devolutive ex art. 49 cod. nav., spesso oggetto delle più svariate e contrapposte interpretazioni giurisprudenziali.
Egualmente trascurati i problemi dei concessionari in Autorità di Sistema Portuale, costretti a versare canoni spesso decuplicati rispetto a quelli dovuti dai colleghi sul demanio portuale gestito dalle Capitanerie.
Non di minor impatto sono le superficialità rilevabili nel maxiemendamento sul piano squisitamente redazionale, con contraddizioni suscettibili di dare origine a conflitti interpretativi preoccupanti.
Come si è avuto già modo di vedere, il comma 683, nel richiamarsi alle concessioni oggetto di proroga di cui al comma 682 (ossia alle concessione rilasciate ex art. 01 comma 1 della legge 494/93 VIGENTI al 01/01/19), prevede che le stesse possano essere prorogate solo in presenza di determinate condizioni, con ciò licenziando un doppio regime normativo, il primo di cui al comma 682 sprovvisto di condizioni, il secondo di cui al comma 683 condizionato.
Una tecnica redazionale che lascia perplessi, soprattutto per aver dato origine ad una inutile conflittualità tra norme che, ad una prima lettura, paiono elidersi a vicenda, atteso che le concessioni ivi richiamate risultano già prorogate di 15 anni in virtù del comma 682, senza necessità delle condizioni fissate nel successivo comma che appare, pertanto, del tutto superfluo.
Ipotesi residuale, ma plausibile, è che il Legislatore con il comma 683 volesse invece far riferimento non già alle concessioni ex comma 682, ma a quelle rientranti sempre nell’elenco di cui all’art. 01 comma 1 legge 494/93, ma “scadute” prima dell’entrata in vigore del nuovo emendamento, come fa pensare il richiamo alle medesime concessioni vigenti all’entrata in vigore del decreto legge 31.12.2009 n. 194 e a quelle rilasciate successivamente a tale data a seguito di procedura amministrativa avviata però anteriormente al 31.12.2009.
Una interpretazione che, ove accolta, darebbe luogo al riconoscimento di proroghe concessorie a favore di contratti giuridicamente inesistenti per decorso del tempo, con tutte le inevitabili ricadute che ciò potrà avere in sede giurisdizionale. Sul punto la Corte di Cassazione Sez. Penale, in ben quattro pronunce consecutive, di cui l’ultima risale al 10.10.2018, è apparsa lapidaria: solo le concessioni garantite da un titolo valido ed efficace possono essere assoggettate ad un regime di proroga ex lege.
Rimanendo sul comma 683, errato ci pare il risalto che il legislatore ha inteso dare alla data del 31.12.2009, usata come spartiacque tra chi accede alla proroga e chi no.
A ben vedere, l’abrogazione del diritto di insistenza sancito con il decreto legge n. 194 del 31.12.2009, non rappresenta il momento storico da cui ha avuto origine la pretesa lesione del legittimo affidamento, come pare essere invece nella convinzione del Legislatore. Il diritto di insistenza, infatti, non garantiva alcuna automaticità nel rinnovo delle concessioni, salvo riconoscere a tale ultima ipotesi natura residuale sempre e comunque a valle di una procedura di gara, così come precisato dalla giustizia amministrativa già in epoca pre-Bolkestein.
Più corretto sarebbe stato, invece, il richiamo alla data del 26.3.2010, che sancisce l’entrata in vigore del D. L.vo 59/2010 di attuazione della Bolkestein, intervento che di fatto ha mandando in pensione il vecchio istituto della pubblicazione ex art. 18 reg. di esec. cod. nav., proponendo un modello di gara con predeterminazione dei requisiti ex art. 15-16 dello stesso Decreto. Oppure, ancor più rigorosamente, al 15.12.2011, data nella quale la Legge comunitaria n. 217/2011 ha abrogato definitivamente il rinnovo automatico, mutando per sempre le aspettative del concessionario in ordine al rinnovo.
Altrettanto singolare è la formulazione dell’ultima parte del comma, che si riferisce alle concessioni rilasciate successivamente alla data del 31.09.2009, salvo che le stesse siano state rilasciate a seguito di procedura amministrativa attivata prima di tale data e per le quali sia stato formalizzato il rinnovo nel rispetto dell’art. 02 della legge 494/93.
In verità, il riferimento all’art. 02 della legge 494/93, appare più il frutto di una svista che di una scelta meditata. Poco c’entra infatti con il tema di cui trattasi, il riferimento contenuto nell’art. 02 alla preferenza accordata alle richieste di concessione che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili.
Più probabile è, invece, che il Legislatore volesse far riferimento all’art. 01 comma 2 della stessa Legge, ossia alla possibilità di rinnovo automatico, incappando nel rischio di perdere un intera categoria di soggetti che invece era nelle sue intenzioni “salvare”.
In conclusione.
E’ difficile allo stato esprimere un giudizio definitivo sulle ricadute che la norma avrà sul comparto, salvo evidenziare come essa si collochi a pieno titolo nel solco di quegli interventi sommari e frettolosi che hanno contribuito a creare disorientamento più che a dare certezze.
Non resta che aspettare le prime reazioni della magistratura e degli Enti concedenti dinanzi all’ennesimo rinvio pianificato su base legislativa. Un rinvio che, a parere di chi scrive, denuncia la scarsa attitudine da parte di tutti gli interlocutori, e della politica in primis, ad affrontare la questione balneare su un piano compatibile con l’adesione italiana ai trattati europei. Punto di partenza indispensabile per avviare qualunque utile confronto, in Italia come in Europa, senza del quale la delusione di vedersi respingere l’ennesima proroga appare più che uno spauracchio.
Avv. Gianluca Bocchino
Partner BM Avvocati