L’art. 4, comma 6, decreto-legge n. 19/2020 ha previsto il reato di inottemperanza alla misura della quarantena da covid 19, lasciando intatte le previsioni di reato più gravi tra cui il delitto di epidemia colposa di cui all’art. 452 c.p.
Una scelta ben consapevole dei rischi che l’infezione può causare come effetto di condotte negligenti o irresponsabili, se non addirittura dolose come nell’ipotesi di cui all’art. 438 c.p., ove la contrazione del virus o il contatto avuto con soggetti posti in quarantena o malati divenga strumento di propagazione della malattia.
A titolo di esempio concreto la condotta del soggetto che pur consapevole di aver contratto il virus, per timore dello stigma sociale, o in ragione di una qualche forma di timidezza, non abbia comunicato alle persone con cui ha interagito la malattia, con conseguente diffusione della stessa in maniera indiscriminata.
Se meno ingombrante sotto il profilo del rischio concreto può apparire però l’ipotesi della epidemia dolosa (art. 438 c.p.), consistente nella la procurata diffusione di una malattia che interessi un considerevole numero di persone in un frangente spazio temporale ridotto, più preoccupante è il rischio da epidemia colposa, ove l’evento epidemico, non voluto dall’agente, si verifichi per effetto di negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero come effetto della inosservanza dei provvedimenti emanati a tutela della salute e della collettività, con l’aggiunta della prevedibilità ed evitabilità delle condotte prescritte e non tenute.
Un problema non di poco conto in vista della progressiva riduzione delle misure restrittive di cui alla Fase 2, contrassegnata dalla necessità dichiarata dalle autorità sanitarie di convivere con il virus per chissà quanto tempo ancora. Apertura che determinerà inevitabilmente un aumento delle possibilità di contatto così come del rischio che a lungo andare, le misure di prevenzione dal contagio, ivi compreso il distanziamento sociale o l’adozione di presidi protettivi a norma di legge, finiscano per essere affidate al buon senso dei cittadini e di stemperarsi per effetto dell’abitudine.
Evidente come in tale ipotesi, al di là della qualificazione giuridica della condotta addebitabile, se di procurata epidemia colposa o dolosa, di lesioni colpose o volontarie, se non addirittura di omicidio in caso di morte, sulla cui integrazione incide ovviamente la diffusività della malattia su un numero indeterminato di persone – si pensi ai casi di cronaca del contagio a seguito della partecipazione a cerimonie religiose, o al contagio procurato nei gruppi familiari in ragione del ricongiungimento di soggetto malato a grande distanza, oppure al malato visibilmente affetto da sintomi che in metropolitana sputa sulle pareti o sulle maniglie destinate ai viaggiatori -, il problema della proliferazione delle condotte incriminabili apre scenari pericolosi per la giustizia penale, ove uno svolgimento non cauto delle dinamiche interpersonali in presenza del virus, unita alla dispercezione dei comportamenti pericolosi, finisca per incidere drasticamente sulla delimitazione delle condotte possibili, sulla definizione e graduazione della colpa, con fenomeni di recrudescenza della conflittualità interpersonale seguiti dal ricorso alla magistratura penale al fine di vedere accertato e ristorato il danno subito.
Il problema, come evidente, non riguarderà tanto i luoghi di lavoro meglio strutturati ed organizzati, ove la recente previsione di protocolli di sicurezza e la necessità di non incorrere nelle responsabilità di cui alla L. 231/2001 comporterà, con tutte le difficoltà note in materia di adeguamento, una soglia di attenzione più alta da parte dei datori di lavoro e dei lavoratori, quanto l’interazione collettiva all’interno dei luoghi in cui meno palpabili sono gli obblighi, si pensi ai condomini, alle attività commerciali minori, ai mercati rionali, ai luoghi di incontro sottratti a logiche di sorveglianza che non siano quelle autoindotte. Un problema che ha indubbiamente una componente sociale e psicologica, ma che finisce per allargare a dismisura le maglie della indagine penale ove le conseguenze legate al contagio hanno spesso ricadute gravi se non gravissime per la salute. Un effetto moltiplicatore accresciuto dal principio della obbligatorietà dell’azione penale e da un sistema di tutela penale dal contagio, come quello apprestato dal Governo, decisamente inadeguato, per lo meno sotto il profilo della capacità dissuasiva delle sanzioni oggi misurate su base essenzialmente contravvenzionale.
Il tema che si evince da queste brevi osservazioni, ripropone la questione cara alla scienza penalistica italiana circa il rapporto tra nuove emergenze penali e adeguamento del sistema normativo, spesso connotato da un eccessivo ricorso alla legislazione extra codicistica. Come l’innalzamento delle soglie del rischio dovuto al Covid 19 vada ad incidere sulla lettura delle dinamiche comportamentali, oggi contenute dal lock out ma in procinto di essere sciolte. Sarà interessante altresì comprendere come si comporteranno i magistrati (e la giurisprudenza) di fronte all’eventuale proliferazione di denunce e querele, in aggiunta alle riflessioni che scaturiranno a breve dalle indagini che stanno già coinvolgendo le residenze sanitarie assistenziali (RSA), ove i contagi più recenti, molti dei quali hanno portato anche alla morte, pongono un serio problema di identificazione delle condotte punibili non meno importante di quello a cui si è qui accennato.
di Gianluca Bocchino