La strana parabola della riforma delle concessioni balneari ai tempi del Covid 19. Il Governo apre all’ennesima proroga nonostante il contrasto con l’Unione Europea.
E’ di ieri la notizia dell’apertura da parte del Ministro dei beni culturali e del turismo Dario Franceschini alla proroga fino al 2033 delle concessioni demaniali ad uso turistico ricreativo. Una apertura che non sorprende se si considera che già durante il Governo Renzi ed il successivo Governo Gentiloni, di cui Dario Franceschini fu Ministro con identiche competenze, il suo orientamento apparve in contrasto con la convinzione del PD che si dovesse aprire alle procedure di evidenza pubblica richiesta dall’Unione Europea, indirizzo poi abortito per effetto della caduta del governo. A rinsaldare la convinzione negli oltre 30 mila operatori del settore turistico che un braccio di ferro con l’Unione Europea sia non solo necessario, ma rappresenti l’unica soluzione alle ansie del comparto, è la promessa di dare attuazione legislativa alla proroga di 15 anni già varata dal precedente Governo giallo verde, così superando le incertezze sul piano interpretativo che hanno portato molti comuni italiani a disapplicarla per contrasto con i principi UE.
La sensazione (rectius certezza) è che sulla scelta pesi oltre al mutato quadro politico, la necessità di dare risposte economiche ad un comparto profondamente disorientato dalla crisi epidemica in corso e delle ricadute sulla stagione estiva alle porte, con l’aggravio della mancata moratoria dei canoni, chiesto da più parti ed ancora in esame, e dal recente diniego opposto dalle banche all’accesso al credito per quegli stabilimenti le cui concessioni non sono state prorogate dai comuni. Che le paure del comparto siano tutte legittime è innegabile, ma quella che si profila all’orizzonte pare essere l’ennesima stortura di un sistema che dell’emergenza ha fatto il suo tratto comune. Non sono note le argomentazioni giuridiche a sostegno della scelta del Ministro Franceschini, ma quella che si prefigura come l’ennesima proroga automatica trova dinanzi a se uno sbarramento di fuoco non da poco, sia per il consolidato orientamento della Corte di Giustizia Europea, che già sulla proroga del 2012 disposta dell’allora Governo Monti, e poi del 2015, aveva espresso tutto il proprio sdegno in ragione del contrasto con l’art. 12 e seguenti della direttiva Bolkestein e con l’art. 49 del Trattato FUE, sia per le recenti sentenze emesse dal Consiglio di Stato (sent. n. 7874 del 18/11/2019) e dal Tar Veneto (sent. n. 218 del 03/03/2020), che senza divagazioni di principio hanno perentoriamente affermato l’incompatibilità della proroga di cui all’art. 1 comma 683 della Legge n. 145 del 2018 con l’impianto comunitario dettato dalla Bolkestein. In maniera ancor più puntuale,il Tar Veneto è giunto a disconoscere l’invocato principio del legittimo affidamento per quelle concessioni rinnovate successivamente all’entrata in vigore della direttiva, e che hanno goduto, con le precedenti proroghe al 2015 e al 2020, di un tempo sufficientemente lungo per coprire ogni investimento iniziale.
A ciò si aggiunga il paradossale corto circuito tra politica e amministrazione pubblica, come dimostrano le rassicurazioni già fornite nel dicembre scorso dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Paola De Micheli, in ordine alla emanazione di una circolare applicativa della proroga al 2033, salvo poi imbattersi nelle valutazioni espresse dalla tecnostruttura del medesimo Ministero, circa l’insuperabilità del decisum contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato n. 78742 del 18/11/2019 e dell’obbligo di disapplicazione per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e, quindi, anche per l’apparato amministrativo,, di una proroga in contrasto con il diritto comunitario.
Se, dunque, come tra l’altro riconosciuto dal Ministro Franceschini, sia andrà incontro ad una sicura procedura di infrazione, non si comprende come si intenda superare l’obiezione, sollevabili oggi più che mai, anche da parte di quei soggetti interessati alla definitiva apertura alle regole sulla concorrenza del comparto, ove la circolare esplicativa annunciata sarà costretta ad assumere un orientamento interpretativo in contrasto con quello assunto dall’autorità giurisdizionale, che proprio sulla Legge n. 145 del 2018 si è formata, aprendo così un vulnus tra potere legislativo e funzione nomofilattica affidata alla Corte di Giustizia Europea, di cui le recenti sentenze della magistratura amministrativa non sono nient’altro che la trasposizione.
Quanto la strada intrapresa dal Governo gioverà poi agli operatori del settore è difficile dirlo. Se infatti la decisione avrà come effetto, speriamo, quello di sbloccare l’erogazione dei prestiti di cui i balneari hanno bisogno, difficilmente i tempi previsti per la loro restituzione potranno essere coperti dal silenzio dell’Unione Europea, sulla cui tolleranza si fa affidamento aggrappandosi fin troppo alle ragioni dell’emergenza.