Cassazione, la Banca è responsabile dell’accredito di fondi sul codice IBAN sbagliato dall’utente

A cura dell’avv. Raffaele Toriaco

 

La Suprema Corte di Cassazione con una recentissima ordinanza, la n. 17415 del 25 giugno 2024, si è pronunciata sulla responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, in particolare tramite bonifico bancario effettuato verso un identificativo unico (IBAN) errato e, quindi, in favore di un soggetto diverso dall’effettivo beneficiario.

Il caso

La vicenda trae origine dal ricorso ex art. 702-bis c.p.c., con successiva conversione del rito, proposto dalla Curatela di una società, la quale ha chiesto al Tribunale di Alfa la condanna dell’Istituto di credito di Beta al pagamento, in suo favore, anche a titolo di risarcimento del danno, di euro 40.000,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

A fondamento di tale domanda la ricorrente ha evidenziato che il titolare della società, creditore di una Compagnia assicuratrice per un indennizzo liquidato in € 40.000,00, non ne aveva ricevuto il pagamento in quanto corrisposto erroneamente, a mezzo bonifico bancario, ad altro soggetto.

Infatti, dal riepilogo dell’ordine di bonifico, è emerso che la compagnia ha ordinato all’istituto di credito, con il quale intratteneva un rapporto di conto corrente, l’accredito del suddetto importo a favore del titolare, ma indicando erroneamente un conto corrente, acceso presso l’Istituto di Beta, intestato ad un soggetto terzo, le cui generalità non sono state rese note alla Curatela perché la banca ha ritenuto di non doverle fornire.

Secondo la ricorrente la Banca avrebbe dovuto accorgersi che il conto corrente, su cui essa aveva provveduto ad accreditare la somma in esecuzione dell’ordine di bonifico disposto dalla Compagnia assicuratrice, non fosse intestato all’effettivo creditore.

Il Giudice di prime cure ha condannato la Banca a pagare al Fallimento attore la somma di euro 40.000,00, oltre accessori e spese legali, a titolo di risarcimento dei danni ex art. 2043 cod. civ., in quanto ha ritenuto che l’Istituto abbia posto in essere una condotta negligente poiché, a fronte di un ordine di bonifico di importo elevato, non ha verificato la corrispondenza tra il codice IBAN e il nome del beneficiario.

Il successivo gravame promosso dalla Banca si è concluso con la conferma della sentenza di prime cure. L’adita Corte di appello di Alfa ha evidenziato, in particolare, che la Banca non ha compiuto “ragionevoli sforzi” per recuperare le somme oggetto del pagamento.

Avverso la decisione di secondo grado la Banca, pertanto, ha promosso ricorso in Cassazione, articolando plurimi motivi di doglianza.

Orbene, secondo i Giudici di Piazza Cavour il ricorso non è meritevole di accoglimento.

La decisione della Suprema Corte

Gli Ermellini hanno enunciato il seguente principio di diritto:

«In tema di responsabilità di una banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, allorquando il beneficiario, nominativamente indicato, di un pagamento da eseguirsi tramite bonifico sia sprovvisto di conto di accredito presso la banca intermediaria, sicché nemmeno è utilizzabile la specifica disciplina ex art. 24 del d.lgs. n. 11 del 2010, si applicano le regole di diritto comune, per cui grava sull’intermediaria stessa, responsabile, secondo la teoria del “contatto sociale qualificato”, nei confronti del beneficiario rimasto insoddisfatto a causa dell’indicazione, rivelatasi inesatta, del proprio IBAN, l’onere di dimostrare di aver compiuto l’operazione di pagamento, richiestagli dal solvens, adottando tutte le cautele necessarie al fine di scongiurare il rischio di un’erronea individuazione di detto beneficiario, o quanto meno, di essersi adoperata per consentirgli la individuazione del soggetto concretamente gratificato del pagamento destinato, invece, al primo, anche comunicandogli, ove necessario, i relativi dati anagrafici o societari».

In particolare, la Cassazione, dopo un ampio ed interessante excursus normativo (nazionale e comunitario) e giurisprudenziale, ha ritenuto opportuno distinguere due ipotesi di responsabilità della banca.

Ricorre la prima ipotesi quando l’errore danneggia un cliente della banca che utilizza il servizio bancario di pagamento in qualità di pagatore o quale destinatario dei fondi oggetto dell’operazione.

In tal caso è necessario dimostrare la consapevolezza della banca circa l’errore commesso dal correntista.

Mentre l’istituto di credito (sul quale grava l’onere della prova ai sensi dell’art. 1218 cod. civ.), per evitare profili di responsabilità, deve dimostrare di aver eseguito l’operazione attraverso il sistema interamente automatizzato, che non prevede una verifica del codice IBAN (il controllo di congruità).

Diversamente, nel caso in cui (come nella vicenda in esame) il conto corrente di accredito sia detenuto presso un prestatore di servizi con il quale il legittimo beneficiario del pagamento non ha alcun rapporto contrattuale, non si applica la disciplina specifica di cui all’articolo 24 del D.Lgs. n. 11 del 27/01/2010, ma valgono le regole di diritto comune e, pertanto, su di esso grava una responsabilità da c.d. “contatto sociale qualificato” che comporta per la banca “un obbligo professionale di protezione nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine dell’operazione”

L’istituto di credito, per andare esente da responsabilità, deve non solo dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie al fine di scongiurare il rischio di un’erronea individuazione del beneficiario, ma anche di aver prestato assistenza al vero beneficiario del bonifico al fine di individuare il soggetto che ha ricevuto in concreto il pagamento eseguito con l’errata indicazione del codice IBAN.

Da ultimo, con la pronuncia in commento, i Giudici di legittimità hanno chiarito anche, in relazione al tema della tutela della privacy – la quale impedirebbe di fornire a terzi il nominativo del titolare del c/c sul quale è stato effettuato l’accredito – che il diritto alla riservatezza dei propri dati personali “deve cedere a fronte della tutela di altri interessi giuridicamente rilevanti, e dall’ordinamento configurati come prevalenti nel necessario bilanciamento operato, fra i quali l’interesse, ove autentico e non surrettizio, all’esercizio del diritto di difesa in giudizio”.

Ne deriva che la banca non può invocare la tutela della privacy al fine di giustificare il rifiuto di comunicare al soggetto che ha predisposto l’ordine di pagamento i dati societari o anagrafici del proprio correntista (illegittimo beneficiario), impedendo così al reale creditore di esercitare un’azione di ripetizione delle somme indebitamente percepite dall’accipiens.